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Danno non patrimoniale: convivente della madre della vittima

Rileva ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale l’esistenza di un saldo rapporto legame affettivo con la vittima.

Ed infatti, secondo la Suprema Corte, il danno da perdita del rapporto parentale è risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, a norma dell’art. 2059 c.c., ma anche quando il fatto illecito abbia leso interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica, come confermato anche dalla Corte Costituzionale.

Il criterio d’individuazione degli interessi inerenti alla persona, meritevoli di considerazione per il risarcimento in caso di lesione non è solo quello relativo alla titolarità di una situazione qualificata dal contatto con la vittima che di solito riguarda i rapporti familiari, bensì occorre considerare anche i legami di fatto.

In particolare, l’individuazione della situazione qualificata che consente il diritto al risarcimento, trova un utile riferimento nei rapporti familiari, ma va pacificamente riconosciuta, sia in dottrina che nella giurisprudenza, la legittimazione di altri soggetti, come la convivente more uxorio.

Legittimato a chiedere i danni iure proprio” è chi ha una duratura comunanza di vita e di affetti con la vittima, dovendo far riferimento all’art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale.

Deve pertanto ritenersi che il danno da lutto possa essere astrattamente riconosciuto al soggetto legato da un saldo e duraturo rapporto affettivo con la così detta vittima primaria, previa verifica della relazione esistente.

Al riguardo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Moretti e Benedetti contro Italia del 27-4-2010, ha osservato come la questione dell’esistenza o  meno di una “vita familiare” prevista dall’art. 8 della CEDU, in assenza di qualsiasi vincolo di parentela sia una questione di fatto che dipende dall’esistenza di legami personali stretti.

In particolare, la Corte ha precisato che nelle relazioni di fatto la verifica circa il carattere familiare delle relazioni deve tenere conto:” di un certo numero di elementi, come il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni nonché il ruolo assunto dell’adulto nei rapporti con il bambino” ed ha riconosciuto l’esistenza di una vita familiare e la sua lesione.

La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ulteriormente esteso la nozione di vita familiare” di cui all’art.8 CEDU ricomprendendovi anche le unioni omosessuali.

La Cassazione civile, ha riconosciuto all’art.8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, valenza di fonte normativa di riconoscimento di una posizione giuridica meritevole di tutela nel nostro ordinamento in linea con l’orientamento evolutivo della giurisprudenza di legittimità, sottolineando l’importanza della interazione dialogica tra attività ermeneutica del giudice nazionale e di quello europeo nella prospettiva della più completa tutela dei diritti fondamentali”.

A cura Associazione Italiana Cultura Giuridica